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Costruire politiche retributive per attrarre, motivare e trattanere i talenti



Come retribuire le persone di “talento”? Quelle che fanno la differenza in termini di performance, che possiedono competenze eccellenti o che hanno un potenziale di sviluppo importante? Simili domande stanno quotidianamente di fronte a imprenditori, CEO, direttori HR, e più in generale a tutti coloro che sono coinvolti nella ricerca, costruzione e sviluppo del “capitale umano” di un’azienda.

Sul tema bisogna fare una premessa generale: pagare di più – ammesso che lo sia mai stata – non è oggi la risposta corretta al problema della retribuzione dei “talenti”. A provarlo anche un recente studio condotto dall’OSSERVATORIO JOBPRICING su oltre 2000 lavoratori del settore privato, dal quale emerge in modo molto chiaro che ¾ degli intervistati rinuncerebbero a un mese di stipendio fisso per accedere ad altre “voci” di remunerazione, anche c.d. intangibile (prima su tutte, con oltre il 30%, la prospettiva di investimenti in formazione e sviluppo delle competenze). Del resto dal medesimo studio emerge che lo stipendio fisso, se è ancora la prima ragione nella scelta un nuovo posto di lavoro (69%), non è altrettanto importante in termini di fidelizzazione: appena nel 28% dei casi lo si reputa il fattore decisivo, ma relazioni interpersonali sul lavoro (49%), ambiente fisico (42%), work life balance (42%), contenuto del lavoro ed autonomia (37%) vengono prima. Tutti questi fattori sono in crescita nell’ultimo triennio, al contrario della retribuzione fissa. Non solo. A quanto risulta dalla ricerca, esiste in generale una bassa soddisfazione rispetto alla retribuzione (4,1 su 10), che è fortemente correlata a 4 dimensioni: l’equità interna percepita, la meritocrazia, il rapporto fra retribuzione e prestazione e la competitività di mercato.

Che cosa implica tutto ciò per chi gestisce le retribuzioni in azienda? Sebbene il tema non si possa esaurire in poche righe, si possono fissare alcuni principi di base: i) Il tema della compensation non è una dimensione esclusivamente interna. Se la retribuzione è in buona sostanza il “prezzo” di una risorsa in base al valore del suo lavoro nell’organizzazione e nel mercato e al suo livello di performance, non si può prescindere da un monitoraggio sistematico di tali fattori, che invece sono troppo spesso trascurati, soprattutto nelle PMI; ii) L’approccio al reward dovrebbe essere “olistico”, incentrato sul “pacchetto” piuttosto che sul denaro (questo a maggior ragione se si parla di “talento millenial”); iii) la differenziazione, piuttosto che l’omologazione, costituisce il nuovo parametro di riferimento per la costruzione di sistemi retributivi: sempre di più si chiedono, anche da parte degli stessi lavoratori, stipendi non uguali per tutti, ma differenziati in funzione di prestazioni e merito.

Non si tratta di indicazioni nuove, ma di un’accelerazione. Infatti, non è cambiato l’obbiettivo, ma è senz’altro in evoluzione il contesto, perché ai bisogni di reclutare, ingaggiare e trattenere i “talenti” delle aziende, in contesti competitivi spesso esasperati, fanno fronte nuove richieste da parte di questi ultimi, che, grazie soprattutto a internet, sono anche sempre più informati (sebbene non necessariamente “bene” informati).

Ma una simile complessità non può essere affrontata “alla cieca”: come ebbe a dire uno dei padri del management - William Deming – senza dati sei solo un’altra persona con un’opinione: è proprio su questi presupposti che abbiamo sviluppato e presentiamo all’HR INNOVATION FORUM 2019 la versione aggiornata del ns. JPANALYTICS, il software leader per le indagini retributive, con il quale bastano pochi click per accedere a un database di oltre 400.000 osservazioni qualificate e 1.900 posizioni su 35 settori.




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