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Less is more: la semplicità per comunicare in modo efficace

“La semplicità è un viaggio, non una destinazione” scrive Alan Siegel, esperto mondiale sull’argomento.


Il cervello, come qualsiasi altro organo, vuole risparmiare energie. Non solo ha bisogno di semplicità, la invoca. Semplicità non è nemica di Complessità. Solo che spesso alla complessità rispondiamo con le complicazioni, aumentando ansia, stress e inefficienza. La parola semplicità spaventa: la si associa a banale, semplicistico, riduttivo. La semplicità esige l’essenziale. Coglierlo e saperlo esprimere non è solo una vocazione, è un’arte. Le gioie semplici sono le più difficili da descrivere. Si narra di una guida alpina, Claus Helberg, che, prima di partire per un’escursione con i turisti, in una giornata incantevole, consegnò loro un biglietto con scritto “Sì, è davvero fantastico!”. Perché? Per evitare di rispondere alle innumerevoli e scontate frasi di apprezza- mento che avrebbero pronunciato, distraendosi dal godimento dell’esperienza stessa. “Le parole non sono sempre sufficienti” scrive Erling Kagge autore de Il Silenzio. Uno spazio dell’anima, libro che narra questa storia. Aggiungo, non sono sempre neppure necessarie. Dire meno e dire meglio. Temo sia in controtendenza in quest’epoca in cui l’urgenza di dire è pari a quella di apparire. Less is more: un principio applicabile ovunque, quindi anche e soprattutto alla comunicazione quotidiana.

Se usassimo Semplicità potremmo liberarci dalla ridondanza e dal barocchismo che appesantiscono la comunicazione quotidiana. Tra legalese, burocratese, aziendalese è un trionfo di scudi contro la chiarezza, che della semplicità è uno degli indici.

Un esempio. Questo è un estratto di una sentenza pronunciata in nome del popolo italiano. “Ritenuto che anche nell’ipotesi in cui il ricorso principale fosse dichiarato inammissibile tale dichiarazione non priverebbe di efficacia il ricorso incidentale pro- posto tempestivamente ai sensi dell’art. 371 cod. proc. civ. e nei termini per impugnare previsti dagli artt. 325, 326 e 327 cod. proc. civ., dovendosi ritenere anzi che in tal caso il ricorso incidentale tenga luogo di quello principale (Cass. 8 febbraio 2011, n. 3056)...”.

Sentenza pronunciata in nome del popolo italiano? Non parliamo così neanche nei nostri peggiori incubi! Al Gore ha detto che “A plain language is a civil right”. Tra Pubblico e Privato una scrittura comprensibile è un diritto, pena la lesione stessa della democrazia. Tra privati una comunicazione chiara è un dovere, altrimenti è un furto della cosa più preziosa che abbiamo: il tempo. La maggior parte di noi crede che più informazioni voglia dire più chiarezza. Non è così.

È vero l’opposto: troppe informazioni sovraccaricano e, se ne sono inondate, le persone perdono di vista cos’è importante e smettono di fare attenzione.

È questione di quantità ma anche di qualità delle parole: devono arrivare con immediatezza senza creare distanze e fraintendimenti. Vale nella vita professionale come in quella privata.

Nel presentare la mia azienda o scrivere un annuncio di lavoro, come posso attrarre se uso un registro distaccato, anonimo e freddo? Che possibilità ho di suscitare attenzione, distinguermi tra la moltitudine di competitor e lasciare un segno? Per generare empatia bisogna ave- re ben chiaro cosa trasmettere e a chi. Mettersi nei suoi panni, capir- ne la prospettiva, gli aspetti razionali e emotivi.

Di recente ho letto questa bruttura: “Azienda leader nella XXX ricerca una figura da inserire con con- tratto di apprendistato all’interno della struttura dei PM perché dia un importante contributo in chiave di problem solving e gestione organizzativa”. Onestamente, come può attrarre un annuncio simile? Ma, prima ancora, che cosa vuole letteralmente dire?

Tutti, aziende in primis, dovrebbero sapere che la semplicità paga. È provato che le persone sono disposte a spendere di più per i servizi offerti da chi rende la loro esperienza d’acquisto prima, e di consumo poi, più semplice, tra- sformandosi in ambasciatori del brand.

La semplicità non è un vezzo intellettuale ma una vera e propria business practice che tradurre nella vita quotidiana di aziende e perso- ne è la nostra missione in Bridge Partners®.

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